Civita, “il paese tra le rocce”, sorge nel cuore del Pollino ed è così denominato per le sconfinate montagne verdi che accerchiano la sua vallata. A 450 mt s.l.m., all’interno della riserva naturale Gole del Raganello, è uno scrigno che preserva le antiche tradizioni del popolo arbëresh.
In base alla morfologia del luogo, il nome sembrerebbe derivare da “nido d’aquila”, perché il borgo, nascosto dalle rocce alla vista dei predoni saraceni e successivamente turchi, è un vertiginoso belvedere, una visione d’aquila sul mare Ionio.
Civita nacque tra il 1467 e il 1471 da gruppi di famiglie albanesi in fuga dai turchi sulle rovine di un abitato preesistente. Fu dapprima feudo fino al 1610 quando Casale e Feudo vennero venduti a privato. Nel 1807, dopo l’eversione della feudalità, fu università nel governo di Cassano allo Ionio.
Oggi a Civita, o “Çifti” come chiamata solitamente, è parlato ancora correntemente l’albanese, infatti i suoi abitanti fanno parte della minoranza etnica e linguistica albanese d’Italia, riconosciuta e tutelata dallo stato italiano.
Cosa vedere e cosa fare
Civita, uno dei borghi più belli d’Italia, è uno degli insediamenti meglio conservati della Calabria interna, caratterizzato da viuzze e spiazzi che si intrecciano le une negli altri. Questa struttura – presente nei tre principali rioni, Sant’Antonio (il più antico e più affascinante), piazza e Magazzeno – si chiama in albanese gjitonia, termine d’origine greca traducibile con “vicinato”.
Ad un occhio attento, non sfuggono i comignoli e le “case parlanti”. I comignoli sono quasi delle opere d’arte che rappresentavano la firma per una nuova casa, di cui diventava il totem, che aveva lo scopo non solo di aspirare il fumo dai camini, ma anche di tenere lontano gli spiriti maligni. Sono una cinquantina i comignoli storici, costruiti probabilmente tra fine Seicento e inizio Novecento.
Le cosiddette “case di Kodra” o “parlanti” invece, sono una sorta di omaggio al pittore albanese naturalizzato italiano Ibrahim Kodra, di fama internazionale. Abitazioni molto piccole, con finestrelle, canna fumaria e comignolo, la cui facciata richiama con evidenza la faccia umana.
Nel centro storico, oltre alla cappella di Sant’Antonio e a quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione, è da visitare la chiesa di Santa Maria Assunta, costruita in stile barocco nella seconda metà del XVI secolo.
Da non perdere i musei. Il Museo Etnico Arbëreshë che raccoglie testimonianze dell’etnia arbëreshë; il Museo della Filanda, dove la vecchia filanda, azionata dall’acqua del fiume Raganello, conserva i macchinari di fabbricazione tedesca della fine dell’Ottocento; l’Ecomuseo del Paesaggio della Valle del Raganello, nell’antico palazzo castellano.
Per gli amanti della natura, dal borgo scendendo oltre 600 gradini si arriva al Ponte del Diavolo: un canyon con le gole più lunghe d’Italia e una parete rocciosa che sembra un fondale teatrale. Il sottile e vertiginoso ponte, che solo il diavolo – secondo la leggenda – poteva costruire in una posizione così ardua, conduce alle gole del fiume Raganello, lunghe 13 km e paragonate, in piccolo, al Gran Canyon del Colorado per l’unicità ambientale e le sculture naturali intagliate dal vento.
Tradizioni enogastronomiche
La cucina locale è un insieme di tradizioni arbëreshë e gastronomia tipica del Pollino. Si consiglia: la pasta fatta in casa condita con sugo di capretto; prosciutto e capocollo; formaggio fresco; gnocchetti con ricotta pecorina; fettuccine con funghi porcini; agnello e capretto alla civitese con accompagnamento di vino del Pollino.
Festività
Due settimane prima di Carnevale: “Prigatorët”, la comunità arbëreshë ricorda i defunti offrendo ai loro parenti e conoscenti grano bollito.
Settimana Santa: passione, morte e risurrezione di Gesù sono evocati secondo i riti della liturgia greco-bizantina e con i canti chiamati in arbëreshë kalimere.
Martedì dopo Pasqua: “Vallja”, danza etnica di antiche origini che si svolge nella piazza e nelle strade del borgo per ricordare la vittoria di Skanderberg sui turchi.
Primi tre giorni di maggio: “Danze dei Falò”, antico rito che ricorda la fondazione della città, quando i primi albanesi guidati da Giorgio Paleologo Assan arrivarono nella valle trovandovi solo i ruderi di un antico insediamento; per scaldarsi, accesero per tre sere grossi falò con legno di lentisco, mentre di giorno costruivano le prime abitazioni; intorno ai falò s’intonano canti polifonici chiamati vjershë.
Numeri utili
Polisportiva Proloco: +39 320.6985890 – +39 333.2904534
Comune: +39098173421
Ristorante Kamastra: +39098179987
Ristorante pizzeria “L’antico ulivo”: +39098173333
Nicoletti Ristorazione: +39098173410
B&B “La sentinella”: +39098173071
B&B “Lo sparviero”: +393398680619
B&B “Dhafna”: +393471332104