Nel racconto di Martino Rizzo vi proponiamo un viaggio che non è solo nella tradizione di un rito religioso e popolare ma è anche un cammino intenso nei ricordi di quella che un tempo fu Rossano, nella sua grandezza e nella sua vitalità


Partono da ogni parrocchia la mattina quando ancora è buio e attraversando vicoli e strade, girano per tutto il paese visitando le tante chiese cittadine che in questo peregrinare rappresentano i sepolcri (i suburchi) dove la sera prima è stato preparato l’Altare della Reposizione dell’Eucarestia.
Ogni processione è aperta da un devoto che, con la testa incappucciata e a piedi scalzi, porta sulle spalle una croce dalle dimensioni reali, lo seguono il parroco, poi le donne e infine gli uomini.
Molti rossanesi hanno un’appartenenza reale o ideale a una Congrega dovuta a tanti fattori: perché si è parrocchiani di quella chiesa, perché lo si è stato un tempo restandoci legati, perché la famiglia di appartenenza per generazioni ha frequentato quella Congrega. Il mio legame ideale, per esempio, è sempre stato con la Congrega di San Domenico che era la parrocchia di mia madre e che ho iniziato a frequentare circa sessant’anni fa. E nel corso degli anni per me è stata sempre una giornata triste quando per motivi di lavoro non ho potuto prendervi parte.
Mentre nella sacrestia si prepara il devoto che dovrà portare la croce, il primo appuntamento per la Congrega si tiene nella chiesa verso le cinque di mattina, quando un po’ alla volta iniziano ad arrivare i fedeli. Così è lì che avviene il ritrovarsi dei soliti partecipanti. Nella galleria ideale della mia mente ci sono ancora tutti quelli che in tanti anni vi hanno preso parte. Li ho tutt’ora davanti agli occhi, tutti, come se il tempo non fosse passato, come se fossero pronti a mettersi in coda per seguire l’evento mistico. Vedo mio padre e i parenti della grande famiglia di mia madre: zio Vincenzo, zio Giovanni, zio Ciccio, zia Elvira, zia Masina, Gianpiero, ecc. ecc. e poi gli amici di sempre, Silvano, Pierino e le altre famiglie del vicinato: i Nola, i Casciaro, i Lettieri, i Filareto, i Graziano, i Pacenza, i Pericolo, i Sabatino, i Iacopetti, i Gallina, i Federico, i Caputo, i Campana e tante altre che fanno parte di un elenco lunghissimo che è ben impresso nella storia del quartiere.
Nel momento in cui il devoto che porta la croce lascia la sacrestia ed entra in chiesa si forma il corteo e tutti insieme si esce dalla porta posteriore in direzione Santo Nico.

Nel frattempo fervono le preghiere e i canti. E non c’è anima che possa restare insensibile mentre in questo contesto affascinante e mistico si elevano le note e le parole di «Gesù mio, con dure funi / come reo, chi ti legò? / Sono stati i miei peccati Gesù mio, perdon, pietà. / Gesù mio, la bella faccia / chi crudele ti schiaffeggiò? / Gesù mio, di fango e sputi / chi il bel volto t’imbratto? / Gesù mio, le sacre membra / chi spietato ti flagellò? / Gesù mio, la nobil fronte / chi di spine ti coronò? / Gesù mio, sulle tue spalle / chi la croce ti caricò? / Gesù mio, la dolce bocca / chi di fiele t’amareggiò? / Gesù mio, le sacre mani / chi di chiodi ti trapassò? / Gesù mio, gli stanchi piedi / chi alla croce t’inchiodò? / Gesù mio, l’amante cuore / chi con lancia ti trapassò? / O Maria quel tuo bel figlio / chi l’uccise e lo straziò?». Il canto, a quell’ora del mattino, in quei vicoli carichi di storia e di vita vissuta, mette i brividi. Adesso ancora di più pensando a un Gesù vilipeso e straziato che non muore solo il Venerdì Santo ma ogni giorno, in Ucraina, in Africa, in Sudamerica e in mille altri posti a causa di un’umanità che oggi come allora pecca di violenza.
Lasciata la Piazzetta si passa dalla stretta salita dove c’era “la rotera”, proseguendo verso l’asilo di Donna Grazia, ora Museo Diocesano, il laboratorio di falegnameria di mastro Giannino Savoia, il negozio di Romano. L’ingresso nella Chiesa Madre è sempre magico con il Sepolcro preparato nella Cappella del Sacro Cuore dove ci si ferma per le preghiere. Davanti l’altare, per l’occasione, in tutte le chiese viene posizionato un inginocchiatoio sul quale il devoto con la croce può inginocchiarsi.
Uscendo dalla Cattedrale si prende la discesa che porta a Piazza del Popolo passando davanti all’antica pescheria, ai negozi dello “Zurro”, di De Simone, di Sacco, di Santoro, alla Casa De Florio, al Palazzo Palopoli, al Palazzo De Mura. Una volta si visitava anche Santa Maria della Rocca per poi percorrere la piccola salita davanti al Seminario Arcivescovile, arrivando in via San Bartolomeo davanti all’Osteria di Marinella.

Davanti a Palazzo Minnicelli si incrocia la processione dell’Addolorata con i suoi tradizionali partecipanti, anche loro fedeli da sempre alla loro Congrega, tra i quali si riconoscono i Guglielmino, i Zagarese, i Tavernise, i Nastasi, Marincola, ecc. ecc.

Quando ancora era aperta la Chiesa della Madonna di Costantinopoli, vicina all’ex Ospedale, vi si saliva dalla strada carrabile per entrare nel bellissimo tempio che le suore facevano trovare addobbato come una bomboniera e per poi discendere dalla scalinata direttamente in Piazza Grottaferrata dove trovavi il negozio di mobili di Graziano, la rivendita di generi alimentari dei Ciommetti, il negozio di Riccardo Levote e si proseguiva fino alla Chiesa di San Nilo.


Nel frattempo si incrociano altre processioni. Ecco proprio quella di San Giacomo guidata da don Gigetto Graziano e le tocchite iniziano subito a rullare per salutare i partecipanti.
Arrivati in Piazza Matteotti sul marciapiede c’è lo storico gruppetto che vi staziona ogni anno per vedere passare le processioni. Si riconoscono Rizziero, il Cancelliere, Salvatore, Francuzzo, Comincio, Lorenzo, Gianfranco, Gianfrancesco e Tonino.
All’interno della galleria del Traforo, diretti a San Bartolomeo, il rumore delle tocchite, all’incrociare di altre processioni, diventa assordante.

Tanti anni fa dalla Chiesa di San Bernardino si proseguiva dallo stretto vicolo che costeggia Casa Casciaro verso la Chiesa di San Giovanni Battista, ora chiusa, per poi riprendere il percorso per ritornare a San Domenico.
Oggi invece da San Bernardino si va direttamente a San Domenico. Arrivati in Chiesa si recitano le ultime preghiere e i fedeli stanchi, ma sazi di spiritualità e soddisfatti per essere riusciti a prendere parte a questa esperienza collettiva, ritornano a casa. Nella sacrestia, il devoto che ha portato la croce finalmente si libera dal peso, si leva il cappuccio e gli organizzatori tutt’intorno fanno festa per la buona riuscita della mattinata.
Speriamo che quest’appuntamento religioso, storico e identitario, che accomuna il popolo rossanese, resista nel tempo e si tramandi alle nuove generazioni.
