Cenni storici su Rossano

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Le origini Enotrie

Quali siano le origini prime di Rossano non è dato di sapere. Le fonti e le ricerche non ci restituiscono, infatti, ancora dati certi, ma dagli scavi archeologici compiuti nelle zone sottostanti i rioni Santo Stefano e Sant’Antonio sono emersi segni concreti di una presenza degli Enotri.

Questi erano un’antica popolazione autoctona presente in alcune aree dell’Italia meridionale già sin dal XIV sec a.C. e legata nell’etimologia del nome alla coltivazione della vite.

Rossano al tempo di Sibari

Ai tempi in cui la Grecia indirizzava la sua seconda ondata migratoria verso il Sud Italia, in questa fertile pianura ionica solcata da numerosissimi corsi d’acqua, tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII sec. a.C. venne fondata Sibari, che in poco tempo divenne signora di un vastissimo territorio.

Di essa, e delle sue successive ricostruzioni, il territorio di Rossano dovette essere comodo e agevole approdo portuale, oltre che, pare, arsenale.

Collocata da nord a sud tra i fiumi Cino -anticamente Lusiadon-, dalle acque trasparenti, il Colognati -Hylias, su cui forse si erano stanziate antiche popolazione autoctone, e il Trionto, Traeis per i Greci, dove si svolse la storica battaglia contro i Crotoniati, l’area rossanese fu, infatti, il porto ideale per una città che, per ragioni politiche e commerciali, voleva mantenere costanti i rapporti con la madre patria e non solo.

I Sibariti trasportarono, in canali sotterranei, le acque del Lusiadon, trasparenti e dalle riconosciute proprietà terapeutiche, per realizzare un magnifico sistema di terme in un luogo intitolato, appunto, alle Ninfe Lusiadi.

Non è l’unico esempio, d’altronde, in cui si ipotizza la presenza di terme collegate alla nostra città.

Nella storia del De Rosis si riferisce, infatti, che durante i lavori di ripristino della strada che corre lungo l’altro dei torrenti rossanesi, il Celadi, emersero tracce di antiche terme probabilmente di epoca romana; e in una iscrizione marmorea, purtroppo andata oggi perduta, ma emersa nel 1538, si citava il funzionario Lucio Flavio Amerino come promotore delle stesse.

In corrispondenza di questo affaccio protetto sul mare, doveva esserci una prima fortificazione in area collinare.

I ritrovamenti archeologici avutisi negli anni, specie nella zona del rione Santo Stefano, dove emerse una piccola necropoli, sembrano poter testimoniare la presenza di agglomerati grecizzanti risalenti all’epoca del VI-V sec. a.C. Tra questi, pregevole lo specchio bronzeo appartenente ad una delle suddette tombe.

Turio dai Bretti ai Romani

E’ molto plausibile, quindi, che il territorio di Rossano appartenesse alla struttura economica, politica e sociale di Turio e che della stessa ne abbia seguito le sorti; in particolare quelle che nel IV- III sec. a.C. videro anche le città della Magna Grecia conquistate ad opera dei Bretti, che, rudi e bellicosi guerrieri, spopolarono nel territorio cosentino, fino all’arrivo dei Romani, che li assoggettarono.

Alla fine del III sec. a.C. Turio diviene municipio romano.

Rossano: la stazione itineraria colonia dei Rosci

Aulo Gellio riferisce che in quello stesso periodo una colonia fu dedotta nel nostro territorio ad opera della gens dei Rosci, che, secondo la versione più accettabile circa il nome cittadino, fu eponima del centro abitato circostante.

A valle della preesistente fortificazione collinare, presso la stazione itineraria, quindi nella pianura, vicino alla costa, i Rosci dovettero impossessarsi di un vasto latifondo e reggere il governo di questa nuova colonia romana.

Ed è proprio come stazione itineraria che Rossano viene per la prima volta citata nelle fonti antiche, trovandone menzione nell’Itinerario di Antonino, quel registro delle stazioni e delle distanze intercorrenti tra le località poste sulle diverse e numerose strade dell’Impero romano.

In esso si segnala Roscianum, posta a 12 miglia da Turio. Si doveva trattare delle indicazioni sull’arteria stradale fatta costruire dall’imperatore Traiano nel 132 d.C. tra Taranto e Reggio, in continuazione dell’Appia.

Di questo stesso tracciato resta documentazione nella Tavola Peutingeriana, pregevole copia medievale di un’antica carta romana, peraltro di recente -nel 2007- inserita dall’Unesco nel Registro della Memoria del Mondo.

Ma l’affermazione di Rossano si ebbe in concomitanza con la fine di Turio, caduta per le continue e diverse incursioni dall’esterno, da cui, al contrario, la nostra città, per l’inespugnabilità del luogo, e non meno – così fu percepito nella storia – per la protezione mariana dell’Achiropita, rimase sempre indenne.

Le due epoche della dominazione bizantina e l’affermazione di Rossano

Fu quando entrò nel dominio dell’Impero bizantino che iniziò a delinearsi il suo ruolo storico e si posero le premesse per la sua breve, ma pur notevole, affermazione come capitale del regno.

La guerra greco-gotica del 535-553, con cui i Bizantini di Costantinopoli vollero riappropriarsi dei territori italiani persi (fase storica nota anche come prima colonizzazione bizantina), aveva affermato il dominio bizantino in Italia, e l’istituzione nell’area del Bruzio e della Lucania del X Tema, dipendente dall’esarca di Ravenna.

E’ in riferimento ad uno di questi scontri che Procopio di Cesarea, lo storico di questo conflitto, cita Rossano. Era il 547 quando il generale bizantino Belisario, in guerra contro Totila, trova riparo nell’oppidum Ruskianum, praesidium validissum costruito dagli antichi Romani a circa sessanta stadi dall’antico porto di Turio (epinion Thuriorum), definito Ruskìa.

Si dovrà aspettare la seconda fase della colonizzazione bizantina, quella successiva alla fine dell’esarcato di Ravenna e all’espansione Longobarda, e il verificarsi di specifiche congiunture, perché la roccaforte ionica potesse divenire, per così dire, capitale di quell’Impero bizantino che nel Sud Italia trovava ormai la parte residuale dei suoi vasti possedimenti: dopo la caduta di Reggio nelle mani arabe e l’annessione di Bari nei domini longobardi, Rossano divenne sede dello stratega e capoluogo dei Temi di Calabria e Longobardia.

Siamo alla metà del X secolo, quel periodo noto in tutta Europa per la sua drammaticità e che invece rappresentò il periodo di massimo splendore per la cittadina bizantina, in cui essa rimase come principale custode di una cultura ellenica, forse mai interrotta dai tempi della Magna Grecia, o forse di ritorno, secondo le tesi più attendibili, che pongono una netta linea di separazione tra il grecismo classico e quello medievale.

La cristianizzazione della Calabria e la nascita della diocesi di Rossano

Tra il IX e il X secolo, si era andata definendo una diffusa cristianizzazione della Calabria e prendeva forma la relativa organizzazione ecclesiastica.

Per Rossano parliamo, per tutto il suo arco di storia iniziale, di una chiesa locale di rito greco, inserita, pertanto, nella sfera di influenza del patriarca di Costantinopoli, fino a buona parte del XV secolo, quando, nel 1463, si attuò la completa latinizzazione e l’emarginazione delle celebrazioni di rito greco nella chiesa di San Nicola al Vallone.

Al IX-X secolo, quindi, in concomitanza con la conquista del ruolo politico di Rossano e in seguito alla scomparsa dai documenti della diocesi di Turio, risale l’istituzione della sede vescovile di Rossano – pur resistendo tesi che la anticipano ai tempi del papa (rossanese?) Giovanni VII.

Cosma il primo nome che compare nel canone diocesano; mentre il passaggio a sede arcivescovile è da attribuirsi all’XI secolo, sotto i Normanni.

L’accorpamento a Cariati – istituita come diocesi nel XIV sec. – sarà poi storia moderna, della seconda metà del’900.

San Nilo e il suo tempo

Mai fu vescovo, invece, Nilo, che in quegli anni da Rossano iniziò la sua avventura spirituale e culturale, che rivive nelle pagine del Bios.

Nella biografia del santo patrono la città è descritta come grande, famosa e inespugnabile.

In quegli anni Rossano, per varie cause concomitanti, dovette essere centro di spiritualità molto sviluppato che, nelle diverse forme succedutesi nel tempo, segnò fortemente la storia del territorio e l’identità di alcuni suoi altissimi esponenti, tra tutti San Nilo, che al movimento monastico stesso diede fortemente impulso.

Così fu anche per l’attività di scrittura dei codici, nella quale si distinse. Nacque, infatti, una vera e propria scuola niliana di scrittura, caratterizzata da quel particolare stile detto “ad asso di picche”, che trovò, poi, continuazione nell’Abbazia di Grottaferrata, da lui fondata.

L’arrivo a Rossano del “Codex”

Se Rossano era divenuto nel IX-X secolo un continuo punto di riferimento per religiosi, alti funzionari e figure di corte che dall’Oriente giungevano nella roccaforte, non c’è da stupirsi che al seguito di una di queste spedizioni sia arrivato in città, da un’area dell’Asia minore non concordemente identificata (Siria o Palestina le tesi più accreditate), il Codex.

E’ recente uno studio che avanza l’ipotesi che l’evangelario facesse parte del ricco corredo di gioielli, libri e icone di Teofano.

L’imperatrice Teofano a Rossano

Teofano era moglie dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone II, imparentata con i sovrani bizantini.

Ella alla fine del X secolo soggiornò per un periodo a Rossano, aspettando nella città inespugnabile le sorti -in realtà non favorevoli – della guerra del marito contro gli Arabo-Siculi.

La guerra vide il suo momento finale a Punta Stilo nel 982 d.C., con conseguente ritirata degli Imperatori da Rossano e dalla Calabria.

La presenza ebraica a Rossano

Sempre in riferimento al X secolo è documentata, dal Bios niliano, la presenza a Rossano del medico ebreo Shabbetai Donnolo, originario di Oria.

Ciò ci testimonia che a Rossano c’era una comunità ebraica che pare fu particolarmente vivace.

Su questo le fonti ci restituiscono notizie di un restauro della sinagoga nel 1324, nel quartiere della Giudecca; di pesanti tassazioni durante il periodo angioino, quando gli ebrei di Rossano erano al secondo posto dei pagamenti delle imposte, dopo Crotone e prima di Reggio.

Se ne deduce, quindi, che, sebbene furono spesso esagerate le cifre di questa presenza, tuttavia fu sicuramente rilevante, almeno fino a quando la fine della dinastia aragonese e i nuovi equilibri politici non avrebbero portato al declino di questa comunità.

Bartolomeo di Simeri e l’importanza del Patir

Bartolomeo da Simeri, centro dell’area catanzarese, fu un monaco bizantino molto carismatico e influente, vissuto nel XII secolo d.C.

E’ a lui che si deve la costruzione nella montagna rossanese del monastero di Santa Maria del Patir, che realizzò con il sostegno economico della casa normanna, nella figura della contessa Adelaide, vedova di Ruggero I e reggente per il minorenne Ruggero II.

Qui vennero portati da Bartolomeo, dopo il suo viaggio a Costantinopoli, numerosissimi codici e suppellettili, tra cui l’icona della Nuova Odigitria che dà il nome al luogo.

Amplissimi i possedimenti che dipendevano dal monastero, che pare si estendessero fino al Crati e al Coscile, stando alla fonte della Carta rossanese, un interessante diploma di Ruggero II che l’amanuense traduce da un testo greco e traslittera in calabrese.

Il monastero era anche centro culturale di straordinaria importanza e qui, nei suoi scriptoria, i monaci amanuensi, eredi della scrittura niliana, ricopiarono numerosissimi codici che andarono n giro per il mondo.

Dopo questa grande fioritura del XII secolo, ci fu una decadenza delle istituzioni monastiche bizantine a Rossano, con conseguente perdita del patrimonio e della cultura greca, e una consistente diminuzione della popolazione che parlava il greco, fino a quando, come si ricordava già sopra, giunse quasi a scomparire il rito greco anche in città.

Dai Normanni agli Svevi. Le miniere argentifere e Bruno da Longobucco

La dominazione normanna inizia qui da noi con Roberto il Guiscardo nel 1059.

L’intelligenza e la politica dei sovrani consentì il mantenimento per Rossano del rito bizantino; e ciò sia in segno di rispetto della forte cultura greca del luogo e sia come garanzia di ordine pubblico per i regnanti. Altro riconoscimento dei Normanni, poi preservato dagli Svevi che a loro subentrarono, fu il mantenimento, per la Rossano potens (per dirla col Guglielmo Pugliese), del titolo di città regia, ossia libera università.

Fu durante il regno di Federico II che a Rossano si insediarono alcune delle più importanti, e poi longeve, casate cittadine, arrivando al suo seguito i capostipiti e da lui investiti di prestigiosi incarichi fiduciari.

Uno per tutti, utile anche a dare un’informazione preziosa sul territorio circostante, fu quella di Prefetto delle miniere argentifere di Longobucco.

E per non spostarci da quest’ultimo luogo e dalle sue risorse, vale aggiungere che in quel XIII secolo, in cui vari intellettuali trovarono stimolo – più e meno diretto – nel ben noto mecenatismo di Federico, si espresse l’opera dell’illustre medico e scienziato Bruno da Longobucco, figlio (si è supposto) proprio di uno dei facoltosi funzionari regi cui era affidata l’amministrazione delle miniere.

Condizione, questa, che gli permise di garantirsi la più qualificata formazione, che diede poi ben alti frutti.

La perdita della libertà. Dagli Angioini agli Sforza

Per Rossano con gli Angioini arrivò la feudalizzazione.

La città, che fino al 1417 si era autogovernata, conoscerà l’umiliazione di essere da adesso in poi venduta, ceduta, barattata, secondo le ragioni di convenienza politiche, militari ed economiche di diversi signori, più e meno appartenenti all’area geografica in questione.

Toccò per prima alla famiglia dei Ruffo (nella figura di Polissena per un breve periodo, poi della sorella Covella) aggiudicarsi il titolo e il possesso del principato di Rossano, nella prima metà del’400.

Il testimone passò poi al figlio di lei, Marino Marzano, a cui la memoria ricollega un’importante opera di fortificazione della città (un castello?) nel rione della Torre del Giglio (oggi Ciglio della Torre), ma di cui, purtroppo, non restano tracce evidenti.

Gli Aragonesi

La seconda metà del secolo XV fu nel segno degli Aragonesi, di cui il Marzano, pur essendo imparentato, fu oppositore, fino a caderne vittima nel 1462.

Dopo una breve parentesi regia, il dominio della Città passa nelle mani del futuro signore di Milano, Ludovico Sforza, detto il Moro, poi di Isabella d’Aragona e a seguire di Bona Sforza, imperatrice di Polonia, Duchessa di Bari e Principessa di Rossano, appunto.

Questa, nel 1557, alla sua morte, lasciò tutti i suoi feudi nel regno di Napoli, e quindi anche Rossano, sotto la regia corte.

La nascita della torre Sant’Angelo e il suo emporio

Dalla seconda metà del XV sec., a seguito della caduta di Costantinopoli, le minacce delle incursioni turche disseminavano terrore.

Fu in questa temperie che la città rinforzò le sue difese e venne poi costruita la Torre nella zona di Sant’Angelo, il cui fondaco, nel frattempo, registrava grande sviluppo, attirando mercanti da tutta Italia: cereali, vite, olio, lana e seta le merci più trattate, oltre che il sale proveniente dalle miniere di Longobucco.

Nel XVI secolo, ci fu sotto questo punto di vista, un importante sviluppo per Rossano, in cui cambiarono in buona parte i tratti della sua economia, che, da agropastorale che era, venne ad investire maggiormente in nuove coltivazioni specializzate, e in cui si ebbe un forte incremento demografico, tanto da portarci ad essere prima città della Calabria Citra, superando la stessa Cosenza.

La cosa fu, però, di breve durata.

Seconda metà XVI sec.: le accademie e altre conquiste

Come eredità del fervore rinascimentale, in tutta Italia erano nate Associazioni di carattere letterario, scientifico, filosofico e giuridico, note con il nome di Accademie.

Rossano ne ebbe due, dei Naviganti e degli Spensierati, risalenti alla seconda metà del XVI secolo, e poi riunitesi nel 1600 sotto il nome della seconda di esse.

A voler dire il prestigio raggiunto da tali sodalizi, basti ricordare che si contarono tra i suoi più illustri esponenti il papa Benedetto XIII e il filosofo Gianbattista Vico.

Fu davvero una grave perdita quella determinata dall’incendio del convento di San Bernardino, dove era conservato l’archivio dell’Accademia, che andò, perciò, interamente alle fiamme.

Circostanza, per la verità, non del tutto unica o nuova per la storia cittadina che tra incendi, terremoti, e forse anche l’incuria dei privati, ha perso per strada tanta parte delle sue memorie.

L’ultimo decennio del secolo XVI merita, inoltre, tre veloci citazioni, tutte – per motivi diversi – importanti per la storia locale: nel 1590 l’Arcivescovo di Rossano, Gianbattista Castagna, diventa Papa col nome di Urbano VII.

Nome e carica, in verità, di cui ebbe ben poco tempo di gioire, in quanto durò appena tredici giorni, per poi morire.

Nel 1593 viene inaugurato il seminario diocesano; e nel 1595 apre le porte l’Ospedale di San Giovanni di Dio.

Dal seicento al decennio francese

Il ‘600 segnò il passaggio sotto gli Aldobrandini: al nome di Olimpia, principessa di Rossano tra il 1612 e il 1620, è legata la costruzione della Chiesa di San Nilo.

Le succedettero poi i Borghese di Roma, che rimasero in possesso della città fin quando nel 1806, con Giuseppe Bonaparte, non si ebbe la legge eversiva della feudalità, che metterà fine ad un sistema durato quasi quattro secoli.

L’esperienza della Repubblica napoletana suscitò forti entusiasmi nella città che, all’indomani della notizia, volle alzare in piazza Commercio l’Albero della Libertà.

Rossano, tuttavia, non fu esente dalla forte e repentina repressione che vestì l’armatura dell’esercito Sanfedista e il volto del Cardinale Ruffo, il quale impose alla città una pesante pena in termini economici e di vite di cittadini.

Quando, a distanza di qualche anno, i Francesi tornarono al potere per circa dieci anni, Giuseppe Bonaparte, venuto in visita in città, fu accolto in un clima di grande festa generale, come riportarono le cronache giornalistiche del tempo.

Il decennio francese, con l’abolizione della feudalità, riportò in attivo le casse comunali. A ciò contribuì anche la soppressione (per altri aspetti ben discutibile) di molti monasteri e conventi e l’incameramento dei beni per destinarli alle opere pubbliche.

Vale per tutti ricordare che in quell’occasione la proprietà dei boschi del Patire venne venduta per finanziare i lavori dell’arteria stradale che collegava Cosenza e Castrovillari.

Alla fine del primo decennio dell’800 in città comincia a costruirsi un apparato scolastico pubblico, per ora solo dei livelli di base, ma che presto sarà potenziato: il 1869 vedrà l’istituzione del Ginnasio; tra il 1907 e il 1914 si aprirà l’Istituto Magistrale pareggiato e, intanto, si avviano i progetti per il Liceo e l’Industriale.

Il ritorno dei Borboni e il brigantaggio

Il passaggio dalla Repubblica murattiana al restaurato potere borbonico non procurò forti contraccolpi, pur comportando lo spegnersi di un accennato movimento carbonaro che si era venuto creando negli anni precedenti.

Diventava, invece, problema pressante e preoccupante il brigantaggio, che, oltre ad essere evidente espressione di una forte miseria e ad interpretare, a suo modo, aspetti del malcontento popolare, faceva anche riconoscere tra le sue pieghe apparentamenti con le fila borboniche e indirettamente, forse, contribuì al loro ritorno.

Rossano capoluogo di distretto e le sue ricostruzioni urbane

Il quadro di riorganizzazione statale e amministrativa, che era stato avviato all’inizio del XIX sec., così delineava il territorio della Calabria: essa rimase divisa nelle due provincie Ulteriore e Citeriore; di questa era capoluogo Cosenza, il cui territorio fu diviso in quattro Distretti.

Rossano era Capoluogo del Distretto che includeva 28 Comuni e andava da Corigliano fino a Strongoli, con relativo entroterra.

Ci fu anche un momento in cui i più ottimisti alimentarono la speranza che si potesse aspirare a diventare capoluogo di Provincia, ma, evidentemente, restò tale.

Rossano era sede di un Sottintendente, che governava, oltre che del Giusticente.

E’ del 1820 la prima illuminazione elettrica cittadina, che precedette di ben cinque anni quella del capoluogo.

Fortemente sentita fu l’esigenza, a più tappe realizzatasi, di migliorare la viabilità urbana del centro storico, anche garantendone aree di incolumità per gli abitanti.

A queste ragioni si deve l’opera di ampliamento dell’allora angusta Piazza Steri, che costò il sacrificio della chiesetta della Santissima Trinità, costruita, a suo tempo, sui resti di un tempietto pagano per la Dea Iside.

La città andava così assumendo conformazione e aspetti sempre più piacevoli.

1836-1837: il terremoto e il colera

Un duro colpo allo sviluppo della città arrivò col terremoto del 1836, che, se da una parte compromise la sopravvivenza dell’impianto urbanistico medievale, gettò a terra numerosissimi edifici e costò la vita a quasi 90 cittadini, dall’altra, tuttavia, ridisegnò il nuovo volto aristocratico ed elegante dell’edilizia privata rossanese.

Solerte ed esemplare fu l’opera di ricostruzione guidata dalla classe dirigente in carica.

Durante le fervide fasi dei lavori i giardini adiacenti il San Bernardino divennero una sorta di baraccopoli, che si veniva sfollando via via che si riaprivano i nuovi edifici.

Fu dopo questo evento che vennero realizzati i tornanti che garantiscono il collegamento tra quella zona e la sottostante, e da poco ristrutturata, Piazza Steri.

Venne in quel periodo anche progettato, ma sarà poi finanziato solo ai primi anni del ‘900, il primo acquedotto moderno, detto domiciliare. Intanto, per tutto il secolo XIX, l’acqua mancò nelle case, e le difficili condizioni di igiene contribuirono, di certo, alla diffusione, nel 1837, del colera che, a solo un anno dal terremoto, di nuovo piegò la città.

Si cominciò a pensare ad allestire il Cimitero fuori dalle mura cittadine, cosa che, tuttavia, si realizzerà solo dopo i nuovi episodi di colera del 1855, quando il camposanto trova la sua attuale collocazione, nella località Timpano, dopo che furono escluse le proposte alternative (pur appoggiate dalla maggioranza, nel secondo caso) di Sant’Antonio prima e di Santa Chiara poi.

Lo sviluppo cittadino nella seconda metà del XIX sec

Rossano prestò generosamente la sua opera e i suoi uomini ai moti risorgimentali e alla definitiva affermazione dell’Unità.

In quel periodo la città conobbe, pur con periodi alterni, momenti di forte crescita economica, per la quale meritano una particolare citazione, accanto ai tradizionali olio e cereali, i settori della seta – che negli anni ’50 raddoppia i suoi già considerevoli volumi -, e la liquirizia, che ha già esplorato le vie dell’esportazione internazionale verso la Francia.

Le fabbriche dell’uno e dell’altro settore, tutte in città, assumono numerosissime braccia per lavorare la materia prima grezza, che arriva dal Distretto e dalla zona dei Casali cosentini.

Ma, oltre che in questo ambito, l’affermazione e lo sviluppo cittadini passarono anche attraverso altri determinanti traguardi.

Nel 1865 la città conquista il Tribunale; dieci anni dopo è sede di Corte d’Assise e di Distretto militare; da fine secolo al 1926, inoltre, sede di Sotto Prefettura.

Nel settore delle vie di comunicazione, dopo i lavori della strada provinciale per Cosenza (con le successive ramificazioni interne), già avviati sin dagli anni ’50, nel 1876 entra in funzione il tratto ferroviario ionico, con stazione in città.

La modifica delle leggi elettorali fa sì che sul finire degli anni ’80 gli aventi diritti al voto siano notevolmente aumentati tra la popolazione maschile, essendosi abbassato il limite del censo necessario per accedervi.

A questo, oltre che ad un generale sviluppo socio-culturale, è sicuramente anche imputabile la vivacità particolare del dibattito politico che in quegli anni, con il sorgere di ben nove giornali, entra ormai nelle case.

Questa seconda metà dell’Ottocento, inoltre, è anche il periodo in cui si concentrano su Rossano le attenzioni del mondo accademico internazionale.

Se già nel 1846 il giornalista e viaggiatore napoletano Cesare Malpica aveva segnalato la presenza, tra i tesori della Diocesi, del Codex, ci vollero poi ancora circa quarant’anni perché la consapevolezza della sua unicità arrivasse alla conoscenza del mondo scientifico.

Era il 1879 quando i due studiosi tedeschi, von Gebhardt e von Harnack, avviarono quel percorso mai più terminato di studi e pubblicazioni sull’evangelario bizantino, che diedero (ove ce ne fosse bisogno) alla città tutta la consapevolezza del tesoro che custodiva nelle sue porte e che trovò un momento di grande lancio internazionale nel 1986, quando l’arcivescovo Sprovieri autorizzò l’esposizione dell’Evangelario purpureo a New York.

Oggi, la sua iscrizione nei monumenti dell’Unesco rappresenta il più ambizioso e autorevole traguardo che ci si potesse augurare; o meglio, il più favorevole punto di ri-partenza.

Il Novecento

Le tappe storiche del Novecento sono sempre più omologabili al cammino generale che intanto l’Italia sta compiendo, senza particolari diversificazioni degne di nota.

Di certo, anche per effetto delle leggi fascistissime, il ruolo di Rossano declinò come Capoluogo di Distretto e negli anni che seguirono si verificò un significativo ricambio nella classe dirigente cittadina, con una giovane classe di avvocati e imprenditori che si veniva a sostituire (o ad affiancare almeno) ad un patriziato nobiliare che, anche se aveva espresso storicamente momenti molto edificanti, non sempre era riuscito ad esprimere il meglio di sé.

Fu questa classe aristocratica della città che allora fu additata come responsabile della dilagante crisi economica.

Ma anche i nuovi nomi del governo municipale non riuscirono a trovare facilmente momenti positivi di sintesi.

Si registrarono, è vero, alcune fasi molto produttive, come quella in cui si continuarono le opere pubbliche, tra cui la galleria del Portello che, nata inizialmente come rifugio antiaereo, valeva a migliorare i collegamenti con la pianura.

Ma, in generale, la città visse, da lì in poi, anni di forte instabilità, tanto che – avvicinandoci ai giorni nostri -, agli inizi degli anni ’90, si potevano contare ben sedici giunte che si erano avvicendate negli ultimi 18 anni.

Intanto, negli anni ‘70 era stata realizzata, non senza polemiche in merito, la centrale dell’Enel, che aveva impiegato nelle sue fasi di costruzione quasi 2000 operai.

Polemiche e preoccupazioni sulle sorti e le riconversioni eventuali della Centrale hanno poi, di nuovo, animato anche questi ultimi anni del dibattito cittadino.

La città si è venuta sempre più spostando verso la zona nuova, circostante lo scalo ferroviario, dove nel 1985 viene inaugurato il nuovo Ospedale Giannettasio e sono venuti via via nascendo istituti bancari, studi professionali, uffici, edilizia privata, e poi attività commerciali sempre più in linea con le mode nazionali, di cui si vanno assumendo le mode e i modi del vivere collettivo.

Quando le vicende regionali portarono al riconoscimento delle provincie di Crotone e Vibo Valentia, Rossano e Corigliano hanno cominciato ad intraprendere la strada della conurbazione.

Era il 1994 quando i due Sindaci e il Presidente della Provincia firmavano il Protocollo di intesa.

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